L'aviaria dell'uva e il metanolo dei polli

Avatargiampi2005128x_1Coraggio, passerà anche questo anniversario: 1986-2006, 18 marzo, vent'anni dallo scoppio del cosiddetto "scandalo metanolo". Giornali e Internet stanno dedicando molta attenzione all’argomento e, quando ci sono da riesumare fosche vicende del passato come scandali, attentati impuniti, colpi di stato falliti e suicidi inspiegabili, noi italiani ci sappiamo decisamente fare.
Aristide non tornerà sui “perché?” della vicenda del metanolo (le fonti indicate in fondo al post dovrebbero bastare a farvi un'idea). Siamo più interessati ad un’altra domanda: potrebbe succedere ancora?

Per rispondere partiamo da alcuni fatti:

  • 22 morti accertati - 19 secondo altre fonti - da avvelenamento di metanolo nel vino, -37%  il volume di produzione in ettolitri del 1986, -25% il valore del fatturato del vino quell’anno - fonte: Nicola Dante Basile, Il Sole 24 Ore).
  • Molti sostengono oggi che il fondo toccato dal mondo del vino nel 1986 servì ad innescare il prodigioso balzo in avanti del vino italiano.
  • La qualità diventò improvvisamente il credo di migliaia aziende finalmente impegnate a seguire "(...) la bussola dell'eccellenza: riducendo la quantità per aumentare il pregio e il valore, riallacciando i legami coi territori, enfatizzando i talenti unici legati al clima, ai terreni, ai vitigni, ai saperi e ritrovando il coraggio di innovare, sperimentare" (così Vanni Cornero, La Stampa).
  • Ed ecco come in vent'anni sono cambiate le cose: "(...) il consumo pro-capite si è inabissato da 69 a 48,5 litri. Ma i vini a qualità garantita (DOC, DOCG e IGT) sono raddoppiati - da 228 a 445. La loro quota nei consumi si è impennata - dal 10,1% al 56%. Il valore dell'export è balzato da 800 a 2.800 milioni di euro" - fonte:  Davide Perillo, Corriere della Sera Magazine.

Insomma, molti cambiamenti dal 1986 ma, come nota Franco Ziliani, "Il Rosso e il Nero"/Peperosso, "tutto è cambiato nel mondo del vino, ma non sempre in meglio". Oggi siamo al centro di una fase di "crisi di crescita" determinata dalla crisi economica generale interna ed europea che crea una sfasatura tra offerta (afflitta da prezzi elevati di alcune tipologie di vini e ingenti scorte di vino del 2004 ancora in cantina) e domanda, sempre più caratterizzata da un consumatore attento alla spesa ed al rapporto qualità/prezzo, oltre che agli aspetti di sanità alimentare del vino. E stavolta citiamo noi stessi, quando pochi giorni fa scrivemmo "(...) il vino ideale dovrebbe essere (...) accessibile come prezzo, sano e sicuro nelle sue caratteristiche alimentari (signori, fare vini sani non è darsi un'etica particolare, un'ideologia produttiva o aderire fideisticamente ad una morale "superiore", è semplicemente una richiesta sempre più precisa del mercato)".

Potrebbe succedere ancora?

Probabilmente no, non negli stessi termini almeno. Sul fronte della qualità molto ancora resta da fare e, come evidenziato nel dibattito sulle DOC, la qualità del vino italiano non è del tutto garantita dal sistema attuale di controlli e certificazioni, soprattutto per gli aspetti che dovrebbero proprio garantire l'origine di territorio delle uve che finiscono in bottiglia, e la tracciabilità del vino riguarda una sparuta minoranza di prodotti oggi sul mercato. Sul fronte igienico-sanitario non dovrebbero esserci problemi: la maggiore consapevolezza dei produttori e della filiera del vino in generale sono senz'altro una garanzia per se, così come una maggiore attenzione da parte dei consumatori ha contribuito a consolidare molte pratiche nella trasformazione alimentare. Siamo però preoccupati dalla mancanza di trasparenza su alcume pratiche di cantina: sentiamo parlare spesso di "piccoli-chimici" assai disinvolti tra i tini e le botti e, ci sembra, ci sia una certa reticenza da parte degli operatori ad approfondire certi argomenti (noi intravediamo qui la "violazione" di almeno 4 articoli del nostro Codice Aristide: il n.1, 2, 6 e 7).

Siamo ancora più preoccupati dell'azione della mano pubblica: certo, confidiamo nei controlli preventivi di chi si occupa di igiene alimentare e repressivi da parte dei Nuclei Anti-Sofisticazione dei Carabinieri. Ma sappiamo, purtroppo, che fino a che non ci scappa il morto, questo paese non “reagisce”, abbiamo sempre bisogno delle emergenze per mettere mano ai problemi, e il metanolo del 1986 è lì a ricordarcelo.

Il panorama si complica ulteriormente se volgiamo lo sguardo al mondo dell'informazione. Aristide sa - per esperienze professionali in altri settori industriali - di come i mass media siano capaci di banalizzare notizie assai complesse, realizzando semplificazioni quasi mai utili a comprendere cosa stia veramente succedendo in una determinata crisi, sia essa relativa ad un evento bellico, o a una crisi economica internazionale, o ad un'emergenza sanitaria.

Aviaria dei polli, per esempio: i mass media riprendono una teoria di alcuni scienziati che preconizzano milioni di morti per l’influenza aviaria. Mentre nessun “operatore della comunicazione” va mai a verificare da chi sono pagati questi scienziati, o a confrontare certe affermazioni con altre opposte, i mass media preferiscono agitare il problema (poche decine di morti in tutto il mondo in due anni, mentre un’influenza umana uccide in media migliaia di persone ogni anno nel mondo) attivando lo “stato di paura” della (e nella) confusione globale.

Come risultato, un intero settore economico è in ginocchio perchè i consumatori smettono di consumare carni bianche, essendo noi tutti “giustamente” preoccupati per la nostra salute. Già. E chissà perché non ci preoccupiamo dello stato di salute dei polli tutti gli altri giorni, per tutti questi anni.
Non capite?
Leggetevi il libro-inchiesta della giornalista inglese Felicity Lawrence, “Non c’è sull’etichetta - Quello che mangiamo senza saperlo”, Einaudi. Altro che influenza aviaria. Solo per citare un piccolo esempio tratto dal libro, la metà dei polli immessi nel mercato inglese attraverso i supermercati nel periodo 2001-2004 è contaminato dal campylobacter (un batterio che provoca una grave intossicazione alimentare che induce forte diarrea, spesso accompagnata da perdite di sangue nelle feci - vedere ricerche della Food Standards Agency qui e qui).

Concluderete facilmente che i veri “polli” siamo noi: il dito indica la luna e noi guardiamo il dito. Ci facciamo stordire da campagne emotive condotte con grande superficialità dai mass media e trascuriamo di verificare aspetti assai più concreti della nostra alimentazione quotidiana, ovvero di cosa ci sia veramente dentro la confezione o da dove provenga esattamente il pollo, la verdura o il succo di frutta che abbiamo appena acquistato. Ci rendono talmente confusi che, di questo passo, l'aviaria crederemo sia una malattia dell'uva portata dagli uccelli e il metanolo una tossina dei polli.

Torniamo così al vino. Potrebbe dunque succedere ancora?

Forse no, ma noi siamo convinti che frodi e sofisticazioni siano sempre d'attualità nel settore alimentare e, considerati gli interessanti margini di guadagno, anche il vino è e rimane un potenziale obiettivo di operatori disonesti. Aristide non ragiona come un qualsiasi operatore di settore: abbiamo grande rispetto per tutti i bravi ed onesti produttori di vino, ma sarebbe stupido abbassare la guardia (proprio adesso) di fronte al potenziale rischio per noi consumatori e per tutta la filiera del vino.

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Alcune fonti qui riportate:

Pinotage, attenti al "mal d'Africa"

Ancora cani, e vino